Abitare oltre a essere un’esigenza, rappresenta il modo in cui l’essere umano occupa la Terra.
Costruire case e quartieri pensati per una società e per una nuova generazione che chiede a gran voce di essere ecologica e umanamente sostenibile. Questo obiettivo richiede non solo l’impegno tecnologico, ma anche un confronto filosofico su che cosa voglia dire oggi vivere bene.
Riflettere su uno sviluppo territoriale sostenibile, sull’impatto delle attività umane sull’ambiente, sulla precarietà delle fonti energetiche non rinnovabili, è tema centrale del dibattito culturale. Il confronto sull’abitare contemporaneo si deve impegnare a superare l’ambito puramente pratico.
Prima la pandemia, oggi l’inflazione e la crisi energetica ci chiedono di rivedere ancora una volta le nostre priorità. Alla luce delle trasformazioni repentine che stanno turbando il nostro mondo e alle esigenze delle nuove generazioni dobbiamo chiederci:
- per realizzare questa società nuova, che è consapevole del progresso dell’umanità nella tecnologia e nelle scienze sociali, come devono essere ripensati non solo le case, non solo i quartieri, ma anche gli spazi comuni e istituzionali?
- Un esempio che ha fatto parte dell’esperienza di vita di ognuno di noi: la scuola. Gli edifici scolastici sono ancora in attesa di importanti interventi strutturali e necessitano di interventi di restauro e messa in sicurezza, ma non sarebbe l’occasione per ripensare l’idea di istruzione stessa?
- Si potrebbe pensare ad una scuola-museo, dove grazie alla tecnologia ogni aula diventa un ambiente tematico e immersivo dove lo studente può vivere esperienze concrete, più avvolgenti, toccare con mano la materia?
- Ed estendere questo rapporto tra vivere lo spazio e crescita umana ad altri luoghi di convivenza coatta come carceri e ospedali?
L’abitare (o meglio il vivere) media la percezione del mondo
I posti che gli esseri umani nella loro quotidianità transitano e dove trascorrono la loro intera esistenza sono mediati dall’architettura ed esiste una stretta relazione tra lo spazio geometrico e il rapporto dell’individuo con il mondo.
Così come ci facciamo un’idea su di una persona in base a come si prende cura di sé stessa, ci facciamo l’idea di una società in base a come si prenda cura dei propri cittadini.
L’architettura può aiutarci a migliorare la società? Molti filosofi nella storia hanno già dato risposta positiva a questa domanda, anche se poi nel pratico ha sempre dominato il concetto di efficienza.
Dar forma ai luoghi nel nostro secolo dovrebbe voler dire pensare al benessere di chi questi luoghi li dovrà occupare e custodire. Quindi, se un’architettura sostenibile, oltre a lavorare sull’impatto energetico, si proponesse di favorire i rapporti tra individuo e società, ne guadagneremmo tutti anche in termini economici.
Secondo il dibattuto filosofo Martin Heiddiger abitare è voce del verbo essere; l’abitare non ha bisogno di essere appreso, ma è connaturato, è istintivo. Invece di edificare e poi abitare dovremmo riflettere sul come abitare per poi costruire dei luoghi adeguati all’anima.
Oggi lo spazio pubblico è solo un’area di transito non di sosta.
Partiamo dalla riflessione sui “non-luoghi” di Marc Augé. “Non luoghi” sono quei luoghi fisici come:
- i centri commerciali;
- le grandi catene alberghiere;
- le stazioni;
- gli aeroporti e tanto altro.
Luoghi dove regna uno dei più grandi paradossi della modernità; sono quegli spazi ricolmi di persone ma totalmente chine su loro stesse e immerse nelle loro cose. Moltitudini di soggetti anonimi possono transitare contemporaneamente nello stesso luogo, con lo stesso scopo, con lo stesso interesse o passione ed essere completamente ed esistenzialmente soli. Anche le nostre automobili immerse nel traffico urbano spesso sono “non luoghi”.
E’ essenziale il contributo di George Simmel alla questione. Se da un lato la grande città offre una moltitudine di opportunità e beni, dall’altro schiaccia l’individuo sul calcolo quantitativo, inibendo le differenze tra i singoli.
Il confine fisico tra individuo e società
Se valutiamo lo spazio abitativo nell’ottica dell’interazione tra gli individui di una società, ci renderemo innanzitutto conto che il modo di abitare questo luogo creerà una situazione peculiare di equilibri tra esclusività di tale spazio e la conseguente nascita di un confine tra il mio spazio e quello degli altri.
Io farò di questo mio spazio e del suo confine un punto di riferimento permanente dal quale dipenderanno sia il concetto di dentro/fuori fisico e mentale, sia il rapporto di vicinanza/lontananza con il resto della società.
Le conseguenze di un mancato equilibrio tra questi fattori, sono ampiamente visibili nelle grandi città. Si da grande priorità alla comodità logistica verso il lavoro e la vicinanza dei servizi per guadagnare tempo, ma aumenta la frustrazione dovuta alla difficoltà di riuscire a preservarsi e di ampliare la propria zona di esclusività.
Questa battaglia quasi inconscia è causa di nervosismo e aggressività assolutamente visibile nelle grandi metropoli.
Come possiamo sottrarre i luoghi alla depersonalizzazione
Il modo in cui lo spazio pubblico viene pensato, configura in modo decisivo il processo di identità. Dovrebbe essere un momento di aggregazione, qualcosa che abbatte la distanza tra interno ed esterno.
Nel mondo antico lo spazio pubblico era destinato all’intrattenimento ma anche al dibattito e alla politica.
Uno spazio pubblico coinvolgente e costruttivo genera cittadini consapevoli.
L’idea di smart city
Per l’economista spagnolo Gildo Seisdedos Domínguez, il concetto di città intelligente si fonda su un’idea ampia di efficienza. Un’efficienza basata sulla gestione manageriale, sull’integrazione delle Tecnologie di Informazione e Comunicazione (TIC) e sulla partecipazione attiva dei cittadini.
La città intelligente aspira a garantire un’alta qualità della vita tramite una gestione sapiente delle risorse naturali e dell’ecosostenibilità.
Un insieme di strategie studiate non solo nell’aspetto costruttivo, ma comprendendo i fattori umano, sociale ed ambientale. Tutto ciò implica un nuovo modello di politica, che consideri il cittadino come un capitale da valorizzare in quanto forza lavoro sia fisica che intellettuale determinante per lo sviluppo della città.
Una città che cresce pensando alle migliori soluzioni in materia di: mobilità, logistica, sicurezza; ma che allo stesso tempo sia anche il risultato di uno sforzo intellettivo. Un aggregatore di forze positive, espressione di valori, identità e cultura.
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